Gli occhi dolci e buoni di Giacomo Furia

giacomofuria

È successo questa estate, quando siamo tutti presi da progetti e piani per le vacanze, quando si sciama tutti verso le località di villeggiatura: si parte per il mare, per la campagna, per la montagna.

Anche io l’ho saputo tardi, perché vi sono alcune notizie a cui non viene dato, secondo me, il giusto risalto: una persona che ci è stata molto vicina ci lascia e ne soffriamo, ma questo vale anche per coloro che ci hanno dato qualcosa di importante: un sorriso, una lacrima, un pensiero. Sono quelle persone che siamo soliti vedere abitualmente, sul grande e sul piccolo schermo, tanto da divenire di famiglia.

È questo il caso di Giacomo Furia, un attore che mi è molto caro, per tanti motivi, ma che credo abbia rappresentato tanto per coloro che, da sempre, lo hanno seguito ed amato.

Giacomo Furia nasce ad Arienzo, in provincia di Caserta, il 2 gennaio del 1925

Fin da ragazzo Furia dimostra una naturale inclinazione per la recitazione e decide di entrare, così, nel mondo del teatro dialettale napoletano amatoriale.

Consegue il diploma di ragioniere all’Istituto Armando Diaz di Napoli, e un conoscente gli propone di dare ripetizioni di matematica ad un ragazzo: questo ragazzo altri non è che Luigi De Filippo, figlio di Peppino e nipote di Eduardo e Titina De Filippo. Da questo incontro inizia una conoscenza assidua con la più grande famiglia di commediografi partenopea, che lo porterà a recitare, ben presto, nella compagnia di Eduardo, che ha avuto modo di valutare le buone qualità di Furia come attore. Il suo debutto teatrale avviene il 7 dicembre 1945 proprio con Eduardo, al teatro Santa Lucia a Napoli, con l’opera Napoli milionaria.

Il suo primo film, Assunta Spina, invece, è del 1947 per la regia di Mario Mattoli, sempre accanto ad Eduardo che ha come partner la grande Anna Magnani.

In breve tempo Giacomo Furia acquisisce la fama di essere una garanzia nel tratteggiare quei personaggi che rendono un film più godibile, arricchendolo con bozzetti deliziosi e controcanti gradevoli. Lavora con Totò in 17 dei suoi film e sarà uno dei pochi a conoscerlo ed a meritare la sua fiducia, tanto da ricordarlo e parlarne in molte interviste e libri. Sempre abile e professionale comprimario sarà protagonista in soli due film. Il primo è L’oro di Napoli, del 1954, nell’episodio Pizze a credito: in questa pellicola Furia è Rosario, lo sprovveduto pizzaiolo, sposato con la procace Sofia Loren. Il secondo è La banda degli onesti , del 1956, diretto da Camillo Mastrocinque: qui egli ricopre il ruolo dell’impacciato pittore di insegne Cardone, accanto a Totò e Peppino De Filippo. Sempre con Totò lavora ne Il medico dei pazzi, e in Totò, Eva e il pennello proibito.

Si cimenta anche in numerosi caroselli televisivi e partecipa a più di cento film come caratterista, spaziando in tutti i generi e distinguendosi per la sua recitazione parodistica e duttile. Lavora anche come doppiatore.

In Televisione è fra gli attori che partecipano al primo sceneggiato della Rai del 1954: Il dottor Antonio; in seguito lavora, anche, ne Il cappello del prete, del 1970.

Nel 1997 esce la sua biografia: Le maggiorate, il principe e l’ultimo degli onesti, un libro che parla con tenerezza e affetto dei grandi che ha conosciuto di persona: Totò, Sofia Loren, Gina Lollobrigida, i fratelli De Filippo, Vittorio De Sica e Tina Pica. Il volume è redatto dal giornalista Michele Avitabile su racconto dello stesso Furia.

Giacomo Furia termina la sua avventura terrena il 5 giugno del 2015, in una clinica di Roma, la città nella quale viveva: aveva 90 anni.

Caro Giacomo Furia: ricorderò sempre il tuo dolce piazzaiolo de L’oro di Napoli: il tuo modo di fare così goffo, così timido, tanto simile a quello di un bambino. E che dire del pittore della Banda degli onesti? Un uomo affettuoso, costantemente preoccupato per la mamma e così pieno di scrupoli.

Sei stato come un amico di famiglia, un parente che si aspetta  con piacere, una persona gradita, mai invadente, riguardosa e cortese.

Il tuo ricordo rimarrà nei tuoi occhi, così buoni e perbene, così profondi, che continueranno a guardarci, ogni volta che vedremo un tuo film.

 

(L’immagine che correda l’articolo è frutto della creatività dell’autore, riproducibile solo col suo permesso)

 

 

TRENT’ANNI DALLA SCOMPARSA DI EDUARDO: MA IL SUO CUORE BATTE ANCORA

EDUARDO

Trenta anni fa il grande Eduardo De Filippo ci lasciava per sempre. Tuttavia, come aveva detto lui stesso, durante una commovente serata a Taormina: “Il mio cuore continuerà a battere. Anche quando si sarà fermato.” Certo i suoi lavori teatrali ce lo fanno sentire sempre presente, più vivo che mai; ma le sue parole si riferivano, anche e soprattutto, all’eredità che lasciava al suo amato figlio Luca, che avrebbe portato avanti la tradizione paterna.

Per celebrarlo la Rai gli dedica un ciclo di rappresentazioni che si aprono stasera con il breve poema ‘Padre Cicogna’, letto da Luca De Filippo, con accompagnamento musicale del Maestro Nicola Piovani.

Eduardo De Filippo nacque a Napoli, il 24 Maggio del 1900 e morì a Roma il 31 ottobre 1984

Figlio naturale del celebre Eduardo Scarpetta, De Filippo cominciò a frequentare il palcoscenico fin da bambino. Il padre lo costringeva a copiare pagine e pagine di copioni, per farlo abituare alla scrittura teatrale: “Allora era una fatica, per me” dichiarò in seguito. “Ma è stata una cosa che mi è servita moltissimo”.

Il suo primo ruolo importante fu quello di Peppeniello in Miseria e nobiltà, come è stato per molti attori della tradizione partenopea: un ruolo che, molti anni più tardi, segnò il debutto del figlio, Luca.

Gli esordi nel teatro, da adulto, lo videro accanto al fratello, Peppino, ed a sua sorella, Titina. Dopo qualche tempo, però, la compagnia si sciolse, a causa di dissapori, che non si sanarono mai, fra i due fratelli: Titina rimase, invece, sempre in contatto con ambedue: a lei Eduardo dedicò uno dei suoi lavori più belli e significativi, il più rappresentato nel mondo, Filumena Marturano.

La sua vastissima produzione teatrale si divide in cantate dei giorni pari, ossia racconti che hanno un risvolto positivo, e cantate dei giorni dispari, con argomento triste o tragico.

Fra i titoli più importanti ricordiamo: Ditegli sempre di sì; Sik-Sik, l’artefice magico; Chi è cchiu’ felice ‘e me!; Quei figuri di trent’anni fa; Natale in casa Cupiello; Gennareniello; Uno coi capelli bianchi; Non ti pago; Io, l’erede; La fortuna con l’effe maiuscola; Napoli milionaria!; Questi fantasmi! Filumena Marturano; Le bugie con le gambe lunghe; La grande magia; Le voci di dentro; La paura numero uno; Mia famiglia; Bene mio e core mio ; De Pretore Vincenzo; Sabato, domenica e lunedì; Il sindaco del rione Sanità; L’arte della commedia; Il cilindro; Il contratto; Gli esami non finiscono mai.

Ha scritto anche per il cinema e per la televisione, oltre ad una ampia raccolta di poesie, quasi celebri quanto le rappresentazioni di scena.

Il Teatro di Eduardo è caratterizzato da una profonda umanità, o meglio da una appassionata analisi degli uomini, dei loro sentimenti, delle loro gioie e dei loro dolori.

Le sue creazioni sono un omaggio alla vita vissuta dalla gente comune: gente semplice che cerca di tirare avanti, con dolore e sofferenza, ma anche, spesso, con indefinibile ottimismo.

Capita, di sovente, assistendo ad uno spettacolo, di sentirsi estranei, distanti dagli eventi rappresentati: ciò non accade con Eduardo: le cose che egli narra ci appartengono intimamente e noi finiamo, immancabilmente, con il riconoscerci in essi.

E, benché le sue storie continuino ad esistere nelle interpretazioni di altri attori, resta il fatto che Eduardo, come attore, aveva una forza tale nel dar corpo ai suoi personaggi che era paragonabile solo a quella di Michelangelo con le sue sculture: un talento incomparabile, calibrato, attento ai tempi, mai eccessivo.

Oltre alla gente, ai suoi drammi, alle sue farse il suo grande amore era, indubbiamente, Napoli, la sua città natale. Quasi tutte le sue opere sono ambientate a Napoli, come l’indimenticabile Natale in casa Cupiello, che di Napoli e della napoletanità è l’affresco più significativo. Certo è una Napoli ricreata nel ricordo di un artista vero, una Napoli che ricorda molto quelle acqueforti di un’epoca passata; ma è proprio quella Napoli che tutti abbiamo amato, un tempo, e che vorremmo di cuore veder rivivere, priva di ciò che la affligge oggi e che tanto la discredita.

Sebbene simbolo di una Napoli che parlava col cuore, Eduardo non ha mai taciuto sulle sue problematiche e le sue difficoltà: le ha, anzi, centralizzate, facendone addirittura degli emblemi di sofferenza ed espiazione, come in Filumena Marturano e Le voci di dentro.

Ai ragazzi più sfortunati, a coloro che, non avendo mai avuto altre possibilità, avevano scelto delle vie sbagliate, egli aveva dedicato De Pretore Vincenzo, la narrazione delle fortune e delle sfortune di un giovane che, per campare, faceva il ladro; ma anche la situazione difficile di un orfano, un bambino senza un nome, ed in questo egli mise molto della sua vicenda personale di figlio illegittimo.

Di quei ragazzi Eduardo non smise mai di interessarsi: voleva che, per loro, fosse costruito un villaggio dell’artigianato, che desse loro un lavoro una volta usciti dal riformatorio: “È la fiducia la cosa più importante” diceva, “ed è la cosa che questi ragazzi vogliono”. In questo si impegnò personalmente, devolvendo notevoli somme di denaro, frutto del guadagno delle sue opere.

Credo, molto di più delle celebrazioni in suo onore, che pure hanno una grande importanza, conti tanto lo spirito di Eduardo: lo spirito grande di un uomo che ha saputo parlare alla nostra sensibilità e che ha fatto vibrare le corde della nostra anima.

FA

[L’illustrazione che correda l’articolo è frutto della creatività dell’autore ed è riproducibile solo col permesso di chi la possiede]